Sofia Corradi & Isabella Madia

Perché questo volume

Sofia Corradi e Isabella Madia

Ci sono fenomeni che non possono venire studiati in laboratorio perché non sono riproducibili a comando: uno di questi è lo svolgersi della vita umana. Quest’opera si propone di documentare lo svolgersi di una vita, quella di Mario Verdone, che presenta molteplici elementi di interesse scientifico in un momento storico in cui, al concludersi di un millennio e all’aprirsi di un nuovo, tutto il disegno o sistema educativo viene rimesso in discussione. Anche i più prestigiosi ambienti della ricerca scientifica internazionale sono oggi aperti a qualsiasi ripensamento, anche radicale. Proposte come quella di descolarizzare la società vengono ora prese in molto più seria considerazione di quanto non avvenisse in passato. Studiosi di prestigio indiscusso parlano ormai di eccessi di educazione formale (Torsten Husén) e individuano (Randall Collins) analogie con il mondo cinese di secoli passati in cui l’educazione formale durava per tutta la vita.
In un tale contesto ci è sembrato doveroso documentare un percorso di formazione che, capovolgendo la proporzione tra il portato dell’educazione formale e quello dell’apprendere autonomamente dalla vita, ha avuto risultati indubitabilmente positivi. Il fatto sperimentale si presenta in questo specifico quadro biografico addirittura estremizzato in quanto le risorse materiali del singolo e della sua famiglia sono assai scarse e, dall’altro, il territorio in cui la crescita del nostro protagonista si svolge è di una ricchezza culturale assolutamente eccezionale, come verrà meglio illustrato nella parte iniziale del primo capitolo. Quanto alle istituzioni scolastiche sono state sì utilizzate, ma il loro contributo risulta notevolmente ridimensionato rispetto allo spazio che tradizionalmente si suole attribuire al loro ruolo educativo. Quel che è certo, e che appare in tutta la sua vigoria, è la costante attenzione, la insaziabile e naturale disposizione ad apprendere e il conseguente costante sforzo, da parte del nostro protagonista, di soddisfare tali curiosità attingendo a qualsiasi fonte, anche alle più disparate. In ogni fase della sua vita Mario Verdone ha voracemente attinto alle risorse educative che il territorio e l’epoca storica offrivano, dall’infanzia e giovinezza nella città di Siena ai primi viaggi nell’ambito dell’Italia durante gli anni immediatamente precedenti alla seconda guerra mondiale, agli innumerevoli viaggi internazionali dei decenni successivi, dopo la fine della guerra, quando l’assenza di conflitti armati e la diffusione dei mezzi di trasporto resero più facili gli spostamenti. Fatto tesoro di quelle nozioni che gli hanno fornito gli studi scolastici  -  che non possono non venire ritenuti indispensabili - la sua scuola è stata il mondo.
Il pensiero non può non correre al sogno educativo e sociale di Tommaso Campanella (1568-1639) - contemporaneo dunque di personaggi quali Giordano Bruno (1548-1600) e Galileo Galilei (1564-1642) e al pari di loro vittima di persecuzioni - ed alla sua vagheggiata Città del Sole ove avrebbe dovuto realizzarsi il suo sogno rivoluzionario di riforma sociale: assertore del primato della conoscenza diretta ed immediata, Campanella vedeva le mura della Città del Sole ospitare eccelse opere d’arte destinate a produrre permanente apprendimento da parte degli abitanti. Quanto sopra con riferimento alla fruizione educativa delle risorse del luogo in cui si abita. E per quanto riguarda l’efficacia formativa del viaggiare (che, come si è accennato e come verrà più ampiamente narrato nel capitolo intitolato, appunto, I viaggi, M.V. ha pertinacemente praticato) possiamo citare un’affermazione, sempre del Campanella: «Più vide Cristoforo Colombo, genovese, con gli occhi e più col corpo corse, che non fecero gli poeti filosofi e teologi .... con la mente, che negarono gli antipodi».
Un altro grande, il “maestro delle nazioni”, cui molto dobbiamo è quello cui, assai opportunamente, è stato intitolato uno dei Programmi educativi dell’Unione Europea. Ci riferiamo ovviamente a Comenius (1592-1670) il quale avverte la necessità di fondare l’educazione sui sensi, sulle cose e sulle immagini (più che sulle parole). M.V. conserva con riguardo alcuni cartelloni di immagini tratte dall’Orbis sensualium pictus(1658) a lui lasciati in regalo da Antonio Brousil, Rettore della FAMU di Praga che nel 1970 li aveva portati alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia per illustrare una propria relazione occasionata dalla celebrazione del terzo centenario della morte di Comenius. Il Nostro cita volentieri quanto ebbe a dire Volfango Goethe: «L’organo col quale capisco meglio è l’occhio» e certamente in un ambiente privilegiato quale Siena il senso della vista ben può avere un ruolo educativo determinante.
Il processo educativo di M.V. è fondamentalmente quello di un “autodidatta” nel senso più pregnante del termine. Paul Lengrand nel suo “manifesto” dell’educazione permanente pone addirittura come obiettivo dell’educazione quello “di fare di ogni essere umano un autodidatta nel senso più pieno del termine” intendendosi per tale “colui che prende nelle proprie mani i propri destini intellettuali, morali e spirituali. E’ un lungo cammino che ciascuno di noi deve percorrere”. Anche le ulteriori enunciazioni che Lengrand esprime come auspicio si attagliano perfettamente al percorso educativo di M.V.: “Non si insisterà mai abbastanza sul fatto che ci sono degli ambienti che favoriscono e degli ambienti che ostacolano lo sviluppo della personalità” ma sempre rimane essenziale ed indispensabile “lo sforzo personale, originale, unico nella sua direzione e nelle sue manifestazioni, che ciascun essere umano è nella necessità di compiere per proprio conto”. Il caso di M.V. costituisce uno squisito esempio di una educazione che “non si aggiunge alla vita, come qualcosa che arriva dal di fuori”. L’educazione - continuiamo a citare Lengrand - che si identifica con il divenire dell’essere umano “non appartiene dunque al campo dell’avere bensì al campo dell’essere”. Seguendo il percorso educativo del Nostro protagonista, lo vedremo profittare, nelle varie contingenze storiche e nelle varie situazioni personali, di ogni occasione di crescita, lo vedremo (è ancora Lengrand) “esplorare i terreni sempre nuovi che gli vengono dati e raccogliere le nuove messi che gli vengono offerte”. Lo vedremo praticare nell’ambito di quel grande laboratorio educativo che è la vita (e a fronte del quale la scuola ne è il piccolo laboratorio) quel lifelong learning - ovvero apprendimento durante tutto il corso della vita - che vogliamo intendere come un vero e proprio “stile di vita”, come un metodo scientifico che trovi applicazione non soltanto, in senso verticale, per tutta la durata della vita in senso soggettivo, cioè per tutta la durata della vita del singolo, bensì (lifewide learning), anche in senso orizzontale: un fenomeno ampio quanto la vita stessa in senso oggettivo.
Non ci è possibile citare tutti coloro cui siamo debitori: come chiunque altro, ci appoggiamo sulle spalle dei giganti che ci hanno preceduto.